Sulle Tracce di...Tino Tracanna
Ernesto ScuratiTraccedijazz.it 30-01-2017
Finalmente. E’ il caso di dirlo. Dopo 35 anni sulle scene, una ventina di dischi da leader e la partecipazione a gruppi che hanno fatto la storia del jazz italiano (dal quartetto di Franco D’Andrea alla ultra-trentennale presenza nelle file del quintetto di Paolo Fresu), a 60 anni suonati (è proprio il caso di dirlo), il sassofonista livornese, di stanza a Bergamo, finisce sotto i riflettori dopo la pubblicazione dei risultati del referendum di Musica Jazz, che lo collocano ai vertici delle classifiche di gradimento. E noi non aspettavamo che questa occasione per incontrarlo e rivolgergli qualche domanda sulla sua musica e sui suoi progetti presenti e futuri.
TdJ) A 60 anni Tino Tracanna si sente più musicista, compositore o didatta?
TT) Mi sono sempre sentito prima di tutto musicista. Dedico tutto il tempo che posso a lavorare per i miei gruppi e a studiare lo strumento. Certo, l’impegno con il conservatorio a Milano non è irrilevante, è un lavoro che mi piace e che cerco di svolgere al meglio, ma il mio primo obiettivo rimane quello di essere un musicista. Anche la composizione mi interessa e non poco, però comporre bene richiede tanto tempo, se non si vuole cadere nella trappola della proliferazione, oggi davvero diffusa dato che è molto facile fare dischi, ed io questo tempo riesco a trovarlo solo in certi periodi.
TdJ) Molti ti conoscono come “il sassofonista di Paolo Fresu”; essere parte di gruppi ormai storicizzati del jazz italiano, se da un lato ti offre qualche ritorno significativo ed il beneficio di una certa visibilità, dall’altra rischia di relegarti all’eterno ruolo del comprimario di lusso. Personalmente, ti trovi più a tuo agio nella veste di leader o di sparring partner?
TT) Indubbiamente essere parte di questi gruppi mi ha dato una certa visibilità, ma io lo faccio soprattutto perché sono formazioni in cui amo suonare. Nello stesso tempo però mi è sempre interessato fare cose mie, e quindi una cosa non ha mai precluso l’altra. E poi essere il “comprimario di lusso”, come lo hai definito tu, di Fresu è comunque una gran bella cosa, perché lui è il miglior musicista che io conosca nello sviluppare la melodia. E pensare che quando sono entrato nel gruppo, Paolo era appena conosciuto…
TdJ) A prescindere da quanto detto, oggi sei leader o condividi la leadership di quattro formazioni decisamente diverse tra loro: il quintetto “Acrobats”, vero e proprio super-gruppo che dopo l’esordio con Abeat ha pubblicato il suo secondo CD per Parco della Musica e raggiunto le vette del Top Jazz 2016; il quartetto “Inside Jazz”, progetto basato sul recupero di standard del songbook americano con nuovi arrangiamenti, ma che dopo un paio di anni in scena sta andando ben oltre, riproponendo e valorizzando pagine spesso dimenticate o sottovalutate dai più; il trio “Drops”, che allarga i suoi confini alle sonorità della musica elettronica e dell’hip hop, con la presenza del DJ Bonnot nel ruolo di musicista e produttore; ed infine il più recente quartetto “Double Cut”, condiviso con il tuo prima allievo ed ora collega Massimiliano Milesi, il cui CD recentemente prodotto dalla UR Records di Gabriele Boggio Ferraris, etichetta tanto giovane quanto promettente, ci ha regalato uno degli ascolti più appaganti degli ultimi mesi dell’anno appena concluso. Sbaglio se affermo che il primo rappresenta le tue velleità in termini di direzione musicale e “gestione” dell’ensemble, il secondo quelle dell’amante della tradizione del jazz e della sua voglia di rinnovarsi nel tempo, il terzo quelle dello sperimentatore di nuove possibilità sonore ed il quarto quelle del tutore di giovani talenti, cui mette a disposizione tutta la sua esperienza per ricevere in cambio freschezza comunicativa ed immediatezza espressiva?
TT) Le tue definizioni sono corrette, in particolare la prima e l’ultima. In “Acrobats” ci sono tutte le mie esperienze di tanti anni di lavoro, dall’astratto, al tonale, al modale. C’è la mia visione compositiva, c’è l’obiettivo di creare una struttura musicale non limitante, che apra spazi di diversi tipo per gli improvvisatori ma sempre con attenzione alla forma ed alla struttura stessa.
“Double Cut” è un altro progetto cui tengo molto; contiene tanto di mio e anche degli altri musicisti che vi partecipano, perché siamo riusciti a far crescere la musica insieme. Mi sono posto sin dall’inizio l’obiettivo di mettere insieme dei giovani che avessero una buona visione musicale complessiva, che fossero disponibili a provare e a lavorare insieme per far nascere e sviluppare qualcosa. Loro hanno portato parecchi brani, io ho messo a disposizione la mia esperienza e capacità di regia, oltre che tanti spunti e strumenti per ampliare quanto più possibile la gamma timbrica. Rivendico il merito di aver dato loro qualche indirizzo utile, ma poi gli ho lasciato lo spazio che ritenevano necessario e tutto si è svolto con estrema naturalezza, perché si tratta di giovani davvero in gamba; è un po’ la stessa tecnica che uso con i miei allievi più preparati, li lascio andare e mi limito a correggere il tiro, perché trovino la dimensione a loro più consona. Pensa che nel disco c’è persino un canto di montagna bergamasco suonato come avrebbe fatto Albert Ayler… questa è un’idea che è nata ancora prima del quartetto, in duo con Massimiliano Milesi; al di là che è stato un mio allievo, con lui c’è davvero una grande intesa perché abbiamo tante passioni in comune, dalla musica del ‘900 a certo jazz e persino alle teorie quantistiche, sulle quali ci divertiamo spesso ad elucubrare.
“Inside Jazz Quartet”, per la verità, è un progetto collettivo condiviso a più mani. Però mi piace perché mi permette di suonare gli standard, cosa che ho fatto assai poco nella mia vita professionale, almeno a livello di incisione; lo vedo semplicemente come un gruppo di amici che si riunisce per suonare insieme e si diverte, portando ciascuno le proprie idee e la propria energia, anche se ultimamente il repertorio si sta arricchendo di pagine meno battute e più strutturate, talvolta anche complesse e raffinate, ad esempio alcuni brani di Dave Holland e Kenny Wheeler.
“Drops” infine è nato da un’esigenza comune con DJ Bonnot, al secolo Walter Buonanno, con l’imprescindibile partecipazione di Roberto Cecchetto ed un po’ di ospiti che provengono da entrambi questi mondi, tra cui persino Paolo Fresu ed anche rapper famosi; l’idea è quella di far convivere contesti musicali diversi, apparentemente molto lontani tra loro, evitando però la formula diffusa e scontata di limitarsi ad improvvisare sopra un robusto groove. Devo dirti che questo lavoro è riuscito, in particolare dal vivo, a darmi delle emozioni particolari e la netta sensazione di lavorare davvero fuori dagli schemi. Anche questo non è un gruppo del tutto mio, perché spesso mi lascio convincere da Walter, così che possa mettere a disposizione tutte le sue idee più interessanti.
TdJ) Il tuo impegno nei confronti dei giovani talenti e del futuro di questa musica si è ora concretizzato anche con il progetto “Scintille di Jazz 2017”, la sezione dedicata alle giovani realtà locali nell’ambito del cartellone della trentanovesima edizione di “Bergamo Jazz” ….
TT) Sì, sono molto soddisfatto del progetto, condiviso con il Direttore Artistico della rassegna Dave Douglas, con il Direttore del Teatro Donizetti Massimo Boffelli e con il Comune di Bergamo, che mi ha conferito l’incarico di curare quella che, da semplice appendice dopo-festival di “Bergamo Jazz”, diventa ora una vera e propria “rassegna nella rassegna”, dedicata alle giovani promesse del territorio, molte delle quali si muovono già a livello nazionale ed internazionale. Dave già durante la sua direzione di Marzo 2016 era rimasto impressionato dallo spessore artistico della proposta del giovane jazz orobico e più in generale lombardo, ed è stato entusiasta quanto me di selezionare, tra una ventina di progetti che gli ho presentato, i sei che alla fine compaiono nel cartellone. E spero tanto in un futuro per questo progetto, con una seconda edizione nel 2018.
TdJ) Come scegli i musicisti con cui condividi i tuoi progetti?
TT) I requisiti sono più o meno quelli che ti ho raccontato parlando di “Double Cut”; mi deve piacere la visione musicale che hanno, devono essere eclettici, in grado di muoversi agilmente tra situazioni tonali, modali ed atonali, devono impegnarsi a mettere a disposizione tempo per le prove e musica da condividere, ed infine devono essere rilassati, perché non voglio percepire tensioni né doverle gestire quando suono, visto che ne ho già abbastanza delle mie…
TdJ) A cosa pensi sia dovuto questo tuo momento particolarmente creativo e fecondo?
TT) In realtà non credo si tratti di un periodo speciale, ma di una serie di coincidenze. Diciamo che tra i quattro ed i cinque anni fa mi sono trovato in un momento di stallo della mia vita professionale e ho capito che era ora di cambiare qualcosa; mi sono dato una mossa, ho ripreso a scrivere, ho sospeso l’attività con il mio vecchio quartetto che tante soddisfazioni mi ha dato, messo in piedi un trio con il contrabbassista Giulio Corini ed il batterista Vittorio Marinoni, creato il progetto “Acrobats” ed avviato la collaborazione con DJ Bonnot per “Drops”… Poi un po’ per caso, un po’ per ragioni discografiche, come spesso accade, i diversi percorsi si sono accavallati e si è concretizzato tutto insieme, il che spiega questa sovrabbondanza di produzione artistica.
TdJ) Riassumi i momenti, dai tempi della tua formazione ad oggi, che ritieni decisivi per lo sviluppo della tua parabola artistica
TT) Per quanto riguarda la formazione, ho poco da raccontare perché sono sempre stato un autodidatta puro, a parte le prime lezioni con Gianluigi Trovesi che mi ha insegnato a muovere i primi passi e che ho fatto sudare parecchio, perché allora di musica capivo davvero poco. Poi qualche lezione specifica privata qua e là, ma nemmeno più di tanto. E poi la laurea al DAMS. Essere autodidatta mi ha creato qualche problema, perché ovviamente ne deriva una formazione anomala e comunque non di tipo classico, ma al tempo stesso mi ha permesso di fare le cose alla mia maniera, e questo ad alcuni musicisti piaceva, primo fra tutti Franco D’Andrea.
L’imprinting che avevo nelle vene era di natura free, fin dal principio. Il gruppo con cui ho inciso il primo cd “L’altra Bergamo” si chiamava Ziggurat, era il 1977 ed avevo poco più di 20 anni, suonavo sax tenore e soprano ma anche il flauto; con me c’era un gruppo di giovani (Claudio Angeleri al pianoforte, Roger Rota al fagotto, Roberto Zonca al contrabbasso e Roberto Marchesi alla batteria). C’era tutto lo spirito di quegli anni, un pizzico di musica contemporanea e la voglia di rompere gli schemi per essere “progressivi”, ma senza tagliare i ponti con le radici afro-americane. Tecnicamente eravamo ancora poveri, ma era una musica molto avanzata e concettuale per quei tempi.
Poi una sera ad Iseo mi sono esibito con un gruppo chiamato Reza Trio, capitanato da Vittorio Panza, prima dell’esibizione in piano solo di Franco D’Andrea; dopo quella serata Franco mi chiamò nel suo quartetto, che durò fino ai primi anni novanta. Era il 1981 e per la mia carriera fu una svolta. Sempre nei primi anni ’80 ho conosciuto Paolo Fresu, che allora iniziava a far parlare di sé, ed è nato anche il quintetto. E questo viaggio continua ancora oggi …
TdJ) Parliamo ora del Tino Tracanna compositore…. Quali sono i metodi di composizione che utilizzi, i tempi di sviluppo del processo compositivo, ed i tuoi riferimenti artistici per la composizione?
TT) Diciamo che ho tre approcci ben distinti per comporre; a volte parto da una frase sullo strumento, altre da una figura di basso, altre ancora da una serie di accordi al piano. Ovviamente non tutti gli spunti vanno a buon fine, anzi sono poche le idee che superano questa selezione naturale ed arrivano fino in fondo. I miei tempi di composizione per arrivare al brano finito sono molto lenti; registro i pezzi al computer per approfondire ogni dettaglio, e cerco di renderli il più possibile essenziali. Alterno sempre situazioni modali ed informali, sia tonali che non, e mi è difficile creare un disco intero con un colore unico. Mi preoccupo che la musica abbia un suo equilibrio e cerco di non risultare autoreferenziale e mantenere invece una visione dall’alto, più distaccata. E’ soprattutto nella fase finale, quella del montaggio del brano, che mi pongo questo problema, cercando di comunicare quello che sto facendo. Come modelli compositivi posso citare Monk, Shorter e Mingus, ma amo prendere spunto da diversi suoni, musiche e generi, e persino da colonne sonore.
TdJ) Quali sono invece i principali riferimenti artistici (non necessariamente sassofonisti) del presente e del passato per il Tracanna musicista?
TT) L’imprinting è quello di John Coltrane; poi soprattutto Wayne Shorter, ma nel tempo ho avuto tanti riferimenti diversi, da Gato Barbieri ad Archie Shepp, da Sonny Rollins a Joe Henderson, così come Lester Young, Ben Webster, Eric Dolphy, Ornette Coleman…… e ne dimentico sempre più di uno….
TdJ) Quali altri progetti hai in corso, e quali in preparazione per il prossimo futuro?
TT) Spero finalmente nel 2017 di fare uscire il disco del mio trio con Corini e Marinoni di cui accennavo prima, che ho registrato sin dal 2014 e quindi in realtà è un “prequel” di “Acrobats” e “Double Cut”. Forse tra tutti i progetti attuali, questo è quello che sento più “mio”.
Poi, tra le altre situazioni interessanti, porteremo “Drops” all’Auditorium di Bergamo, in formazione estesa con Andrea Baronchelli al trombone ed una cantante bergamasca di origine nigeriana, Awa Fall. Si aggiungerà al gruppo anche il pittore catalano Zesar Bahamonte per un “live painting”. Ma state con le orecchie dritte, perché altre sorprese non mancheranno …
TdJ) Oltre alla musica, quali altri interessi hai nella vita e quale spazio riesci a dedicare loro?
TT) Le mie giornate sono sempre abbastanza impegnate, ma cerco di ritagliarmi qualche ora per giocare a tennis, leggere, dedicarmi un po’ alla cucina, guardare film; mi piacciono molto i film italiani ed i classici americani un po’ datati.
TdJ) Di chi o di che cosa pensi di non poter fare a meno?
TT) Della mia famiglia, naturalmente, e dei miei spazi di libertà.
TdJ) Per concludere, ti chiedo semplicemente cosa contiene lo scrigno dei desideri di Tino Tracanna
TT) Adesso che ho messo tanta carne al fuoco, vorrei riuscire a suonare un po’ dal vivo; ma anche andare a rilassarmi un po’ in qualche bel posto di mare…….
Ed il nostro desiderio, invece, è che Tino Tracanna continui a regalarci la sua splendida musica ancora per tanti anni, come ha sempre fatto e come sta facendo in particolare oggi, in questo momento che a detta di molti rappresenta l’apice della sua espressione artistica.